Il materiale, da cui questo lavoro del 2020 prende origine, è un film famigliare girato in super8 da mio padre nel 1960.
Luogo e paesaggio (non solo geografico, ma dell’anima) è il giardino grande di Cervo ligure. Nel film si riunisce la numerosa famiglia che viene immortalata mentre festeggia qualcosa di importante.
Ho costruito un dispositivo di proiezione che rompe la superficie trasformando le immagini e la bidimensionalità del film nella tridimensionalità dello spaziofilm per provare a raggiungere la quarta dimensione, quella della memoria.
Con la rottura dello schermo di proiezione può succedere che un momento del film mi appaia anche dietro o davanti contemporaneamente.
Lo spazio così costruito si avvicina maggiormente a uno spazio mentale.
Non si tratta più solo di proiettare l’immagine in movimento su uno schermo, ma di rompere lo schermo in schegge con inclinazioni differenti tra loro, in materie diverse e proiettare lì. L’immagine viene così a trovarsi in uno spazio che come la memoria procede a salti, sbalzi, senza un prima e un dopo lineari.
Il mio tentativo è stato quello di agganciare la ripresa lineare di mio padre a uno spazio mentale del ricordo o della memoria (non so) che si sa procede per salti, vuoti, stranezze, piuttosto che per filo e per segno.
L’immagine di superficie si trasforma in oggetto tridimensionale che invade lo spazio o meglio esce dalla sua cornice. L’osservatore ha l’opportunità di interagire con ciò che guarda e in cui cercherà di vedere qualcosa che va oltre il guardare.