la memoria è un fermo immagine

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La pittura è una disciplina, così come lo è il teatro così come la scrittura. Creare collegamenti tra queste discipline è la mia ricerca. La pittura in forma di assemblaggio sovrapposizione composizione mi offre modo di creare relazioni tra le cose, siano esse idee o materie. 

Per comporre uso istantanee foto(autobio)grafiche, pagine di un vecchio panlessico e altri materiali residuali. Gli scarti che hanno una storia alle spalle sprigionano inattese ed improvvise scintille.

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Tra le materie cerco un incontro, attuando soluzioni che verifico nel momento in cui vedo le materie stesse entrare in azione. Si tratta sempre comunque di accostare e mettere in dialogo.
Mi capita di lavorare sulle forze contrapposte, sull’azione e reazione del materiale, su spinte e cedimenti.
Questa attività diventa palestra di pensiero. Piacere del contatto fisico con la materia. Gioco con l’imprevisto. Trasformazione del materiale. Mistero della composizione. Esercizio della pazienza. Potenza del caso.
Non sempre è auspicabile fornire interpretazioni.

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IL MONTAGGIO DELLE ANACRONIE
Una nota sulla mostra La memoria è un fermo immagine
Bruno Di Marino, aprile 2018

Non può certo sorprendere la scelta fatta da Pierangela Allegro di dedicare la sua mostra ad Aby Warburg. Naturalmente, rispetto allo studioso tedesco, fondatore di quella “scienza delle immagini” che oggi tanto impera e che ha contribuito a far saltare le barriere disciplinari, nel lavoro dell’artista non si ravvisa alcuna pretesa scientifica, ma solo estetica e poetica.

Del resto lo stesso Waburg nella creazione del suo famoso atlante chiamato Mnemosyne, composto da decine di tavole su cui aveva disposto immagini di vario tipo collegate tra loro, al di là delle sue intenzioni di iconologo, celava altre necessità. Giorgio Agamben legge in questo suo procedimento un sistema mnemotecnico atto a risolvere i propri personali conflitti psichici, mentre Georges Didi-Huberman, a parte sottolineare la funzione di visualizzare le formule del pathos (pathosformel) nelle loro sopravvivenze e ritornanze all’interno dell’arte occidentale, ricorda che non si trattava solo di un atlante puramente visivo ma che, al contrario, il corpus di oltre duemila immagini sarebbe dovuto essere accompagnato da didascalie e commenti scritti. Così, secondo lo storico dell’arte francese, Mnemosyne “propone ben altro che una semplice raccolta di immagini-ricordo fatte per raccontare una storia”, offrendosi piuttosto come “dispositivo complesso destinato ad offrire – ad aprire – le basi visive di una memoria impensata della storia, di ciò che Warburg non ha mai cessato di chiamare Nachleben”.

Per attuare ciò Warburg adotta il montaggio, ma, attenzione – come sottolinea sempre Didi-Huberman nel suo accurato e imponente saggio L’immagine insepolta – senza prendere a modello il procedimento cinematografico e neppure il collage o il fotomontaggio da Braque a Schwitters a Rodcenko, seppure producendo a suo modo un “oggetto d’avanguardia”, in quanto, sono parole sue, “osa decostruire l’album-souvenir storicistico delle ‘influenze dell’Antichità’ per sostituirgli un atlante della memoria erratico, regolato sull’inconscio, saturo di immagini eterogenee, invaso di elementi anacronici o immemoriali”.

Queste ultime parole di Didi-Huberman, potrebbero essere mutuate e applicate anche per agevolare la lettura delle affascinanti composizioni di Allegro che configurano – se viste nel loro insieme – un atlante non meno erratico di quello warburghiano, molto personale per certi versi, un immaginario – regolato dall’inconscio – dove segno visivo, parola scritta e ricordo (in alcuni casi di carattere fotografico) si intrecciano sulla superficie dando però vita a un flusso ininterrotto mediante link analogici, una rete materica fatta di fili, di incollature e cuciture, che lasciano libero l’occhio dell’osservatore di vagare sulla parete.

Non c’è forma e non c’è ordine in questo grumo esteso di frammenti, “pensieri che si imprimono sulla materia in forma di segni”, per citare le parole della stessa artista.

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Eppure, nella sua informità e difformità, queste tracce disseminate sul supporto, tracce che idealmente si prolungano anche nel contesto spaziale che le accoglie (una delle opere, Non soffocare la possibile espansione del significato, è stata fotografata appesa nello studio di Allegro, accanto a un affresco rinascimentale, frammentato e semicancellato anch’esso, formidabile pendant visivo, “sopravvivenza” warburghiana) sono distribuite secondo un perfetto equilibrio.

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Garze, terre, gessi, pagine e frontespizi di libri, frammenti di lemmi desunti da dizionari, fotografie in bianco e nero, pennellate di colore, incisioni sulla superficie: in questa texture organica e disorganica, composta da segni che affiorano e svaniscono dagli abissi della coscienza, non riusciamo a distinguere le ferite aperte e quelle chiuse, le lacerazioni dalle ricuciture. Le campiture lisce si alternano alle aree grinzose, le macchie alle squadrature, i fili alle pennellate o ai tratti di carboncino, secondo un’accurata e ben studiata ritmicità, dove ritroviamo – al di là del caso e del caos – il sapiente controllo dell’artista, la necessità di dosare e di sottrarre, memore forse da un lato della pittura informale alla Burri, ma affine anche a quella sensibilità dell’arte e della filosofia orientale che lavora sui vuoti più che sui pieni, sulle pause più che sulle battute.

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A proposito dell’opera Motivi ricorrenti_preparare la tavola, Allegro cita un concetto di Bachelard: “La lontananza non disperde nulla, al contrario raduna in una miniatura un paese in cui mi piacerebbe vivere. Nella miniatura della lontananza le cose disperse giungono a comporsi e si offrono allora al nostro possesso negando la lontananza che le ha create”. Ed è sorprendente come queste parole sembrano fare eco a una frase di Warburg, che si scagliava contro i moderni dispositivi tecnologici, quali il telefono e il telegrafo, definendoli: “funesti distruttori del senso della distanza”. La distanza è colmata dal montaggio, dal collegamento di concetti, segni e immagini che l’artista crea sul supporto “poroso”, dove i confini prima sono netti e poi si sfrangiano, per citare ancora una volta dei versi di Allegro che accompagnano un’altra sua opera: C’è naturalmente l’occhio che riempie tutto il campo.

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Ma il bisogno di instaurare una distanza (e quindi un intervallo temporale e, in qualche modo, anche spaziale) è esplicitamente dichiarato in un’altra sua composizione, La giusta distanza, in cui l’artista si prefigge di creare uno scarto tra sé e la cosa che lo coinvolge. In questo caso specifico, dalla carta-garza che ricopre il supporto – e su cui vengono tracciate delle scanalature – emerge un’immagine del passato: una bambina tenuta in braccio da una donna (l’artista e la madre?)

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In questo mare di pennellate strappi e suture, dove come isolotti galleggiano pagine strappate e incollate, legate da fili, affiorano di tanto in tanto istantanee, elementi figurativi di un passato rimosso che ritorna: in un’altra fotografia c’è una bambina che si trova sul prato insieme a due donne adulte in un momento di irripetibile armonia; in un’altra compare suo padre ritratto intento a sua volta a fotografare, in un gioco autoreferenziale circoscritto all’ambito familiare.

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Le immagini fotografiche si moltiplicano in un’altra tavola dedicata – fin dal titolo – ancora una volta a Warburg: i frammenti di istantanee sono attraversati da fili tesi, ortogonali e diagonali, fino a costituire – ancora una volta – una mappa di luoghi, eventi, sentimenti.

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Nel flusso pitto-grafico di Allegro trovano posto, infine, anche le immagini in movimento. Gli spezzoni di alcuni home movies, (opportunamente trattati da Michele Sambin) frammenti di vita inglobati – sotto forma di visori – in questo idealmente infinito teatro della memoria, contribuiscono a dinamizzare il corpus allegriano, a renderlo ancor più materia viva. Una materia-scrittura-immagine, pronta a ri-evocare in ogni momento le forme di un pathos intimo, personale ma – nel momento in cui diventano rappresentazione – anche collettivo e, quindi, condivisibile dallo sguardo dell’osservatore.

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allestimento a palazzo Tupputi _Bisceglie_ per Avvistamenti 2018

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